PREMESSA: QUASI 20 ANNI TRA EMERGENZE ED UTOPIE

di Maria Eletta Martini, Presidente C.N.V.

Agli inizi degli anni ‘80, quando cominciammo, in pochissimi – non arrivavamo a 10 persone – a "convocare" i volontari, ci lasciammo trascinare dal fascino delle diversità, culturali e politiche, religiose, e dalla volontà di fare, "fuori delle norme", "qualcosa". Il volontariato, allora era "inviso" da gran parte delle istituzioni: il decreto 616, della metà degli anni ’70, che nel trasferire i poteri alle Regioni metteva in crisi il volontariato esistente – e fu recuperato "in extremis" dalla legge istitutiva del servizio Sanitario Nazionale (L.833 del 78) – evidenzia quanto la "cultura" politica dominante a stento "tollerasse" l’associazionismo volontario; quel volontariato che pure entrò per la prima volta, per in una stretta maggioranza, in una legge dello Stato; questo volontariato "inviso" si incontrava con una presenza di "reduci" del ’68 che, sfumata la progettata "rivoluzione" scelsero l’impegno personale solidaristico, fuori di ogni istituzione; e si alimentava di un numero notevole di associazioni "cattoliche" che, uscendo dal loro "privato", tentavano la "conciliazione" tra la dimensione "pubbliche" e il precetto di anonimato indicato dal messaggio evangelico: "non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra."

Questa eterogeneità, che a gran parte della stampa sembrò "folclore", fu subito da noi giudicata una ricchezza. E invitammo il volontariato a cominciare – e pur lentamente e con qualche difficoltà, a riflettere su sé stesso, in incontri biennali, a carattere nazionale, che si svolsero, nell’80 a Viareggio, e poi al Palazzetto dello Sport a Lucca.

Scorriamo i temi affrontati in questi incontri: "Volontariato, società e pubblici poteri.", "Volontariato negli orientamenti legislativi regionali e nazionali e nella ricerca di nuove politiche sociali", "Volontariato ed enti locali".

Proprio alla fine del 3° Convegno, dell’84, si costituì il "Centro Nazionale per il Volontariato"; lo definimmo allora uno strumento in mano ai volontari per collegarsi ed organizzarsi meglio, per promuovere attività, ma anche Centro di Ricerca, Studi e Documentazione, in cui volontari e Istituzioni convivono. Un mezzo a disposizione delle associazioni che vogliono contare maggiormente, un punto di riferimento privilegiato per un coordinamento efficiente.

E fin dall’inizio anche il "Centro" ebbe una composizione eterogenea, Associazioni di Volontariato e istituzioni; tutto all’insegna del pluralismo culturale, politico, religioso, come lo erano stati i convegni.

Significativamente il primo convegno che il CNV promosse dopo la sua costituzione, (il 4° della serie) ebbe per titolo "Promozione e formazione del Volontariato per cambiare Società e Istituzioni. Quale formazione ci chiedemmo? E perché?

Sapevamo che esisteva, allora più di oggi, un tipo di volontariato individuale tradizionale, sia di tipo religioso che laico, di alto valore morale, ma che raramente si pone il problema delle cause degli stati di bisogno cui pure fa fronte; non si pone perciò il tema dell’azione politica: anzi, se ne tiene fuori deliberatamente in quella che, questo tipo di volontariato, chiama apoliticità; in realtà, la scelta di lasciare le cose come sono, di non impegnarsi a cambiarle è anch’essa, forse inconsapevolmente, una scelta politica.

Se si vuol aiutare il "cambiamento" – noi pensammo – importante è chiedersi quale formazione è più idonea a promuoverlo, e in quale modo; già se ne vedono indicazioni importanti.

Dicemmo allora che per costruire progetti realistici bisogna essere un gruppo di persone che comunicano fra loro, che sanno comunicare all’esterno e sanno ascoltare e vedere ciò che accade; è perciò indispensabile che la formazione riguardi in modo preminente il lavoro di gruppo, senza esasperazioni tecnicistiche, ma anche senza illusioni spontaneistiche.

La formazione deve trovare forme efficaci di collaborazione tra professionisti e volontari, facendo attenzione a che non vengano violate l’originalità e l’autonomia culturale dei gruppi di volontariato. Manifestando attenzione ad ogni diversità culturale, evitando di stabilire comunicazioni, basate sul linguaggio solo del proprio gruppo.

E’ infine indispensabile, se si vuole costruire il cambiamento, avere coraggio di individuare dei punti strategici del quadro sociale che appaiono non soddisfacenti, e definire una loro radicale alternativa. Il volontario deve autoformarsi, senza bloccarsi di fronte alla mancanza di esperienze precostituite da assumere come modello, sviluppandosi attraverso esperienze concretamente affrontate, documentandole, confrontandole con le altre, criticandole nei punti deboli: sempre diffidando della formazione "accademica" e puntando invece ad una formazione dialogica e non conformista.

Acquisendo conoscenza della popolazione del territorio su cui agisce, sulle condizioni economiche sociali, culturali, religiose; sul livello di sensibilità delle persone.

E anche sulla situazione politica e amministrativa nei confronti della quale il volontariato dovrebbe essere di stimolo: sui servizi esistenti e la loro qualità; sui criteri e le priorità dei bilanci degli enti; sui rapporti fra pubblico e privato, sulla legislazione regionale, i servizi proposti e la loro applicazione; sui meccanismi per incidere sul potere politico in modo da accelerare il cambiamento.

Non trascurando l’altra esigenza: formare un volontariato che sia idoneo a svolgere il proprio servizio: con un apprendimento, un tirocinio e un aggiornamento adeguato, non dei volontari operatori di "riserva".

Dicendo che era fondamentale, per il volontariato, non tanto lavorare "per" le persone ma "con" le persone nello stile della condivisione; "aiutare le persone ad aiutarsi", promuovendone l’autonomia, creando in esse lo stimolo a porsi esse stesse a servizio degli altri: si sviluppa cosi, a spirale, l’impegno della solidarietà; il volontariato deve diventare moltiplicatore di se stesso; così davvero la propria solidarietà può trasformarsi in "impegno civile".

Con questo impegno – che rasentava l’utopia – continuavamo a pensare (e ne trattammo nell’88) che così "formato", in una sorta di formazione permanente, il volontariato poteva essere "coscienza critica" delle situazioni di povertà e di marginalità, contribuendo a prevenirle, superando il fatto di essere i "riparatori dei guasti altrui".

E passammo, da allora, dai grandi congressi biennali, ai "seminari" più frequenti e più numericamente ridotti, alla riflessione su aspetti alternativamente particolari e generali.

Cominciammo anche a fare gli "itineranti", in giro per l’Italia. Perché fosse accettato dai più che "volontario" non è solo quello che la gente vede e apprezza nell’emergenza, ma quello che nel quotidiano, silenzioso e fuori dai riflettori, opera vicino a chi soffre, assumendosene anche il ruolo di "voce", "difensore", e soprattutto "risolutore" della sua marginalità.

Lo studio, la ricerca, l’impegno a sollecitare legislazione e atti amministrativi, stavano negli impegni e nelle "innovazioni" di cui c’è necessità, perché "nuovi" sono i bisogni e le esigenze di una società dove crescono bisogni immateriali, ma ci sono ancora e largamente diffusi, quelli materiali.

Per questo la "formazione" anche con metodi rinnovati continua; perché di volontari e di professionisti, "nuovi" ha bisogno questa società in modo così contraddittorio "cambiata".

Qualcuno, critica i Centri di Servizio largamente impegnati nella "formazione" dei volontari. Significa che è ancora diffuso il numero delle persone che vedono nei volontari brave generose persone che rispondono ai "bisogni" immediati dei più emarginati, ("l’esercito dei buoni" ci ricordava Luciano Tavazza), ma che non hanno l’ambizione e l’impegno di contribuire a cambiare le cose perché la esclusione sociale sia sconfitta. Un Volontariato che "vada bene per tutti", e che non disturbi i progetti politici, palesi o occulti di chi fa del cambiamento uno slogan più che uno impegno vero.

Noi che crediamo che "Cambiare società e istituzioni" è la motivazione vera della esistenza del volontariato, diciamo che ben venga la loro formazione che, come nella vita, non ha mai limiti; perché nell’azione dei volontari, come nella vita, c’è sempre un "meglio" da raggiungere.

 

Maria Eletta Martini

 


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