Così Firenze ha chiamato Palermo
Sono stati i ragazzi delle tante scuole toscane presenti allo stadio Luigi Ridolfi sabato 23 maggio i protagonisti della tappa fiorentina di #PalermoChiamaItalia, l’iniziativa che ha riunito 40.000 studenti in diverse piazze del Paese nel ricordo delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Anche la mattinata di Firenze, organizzata della Direzione Generale per lo Studente del MIUR insieme all’Ufficio scolastico regionale per la Toscana e in collaborazione con la Fondazione Antonino Caponnetto e il Centro Nazionale per il Volontariato, è stata un successo.
E insieme alle tante testimonianze di nomi e volti noti -il comico Paolo Hendel, l’ex calciatore Giancarlo Antognoni, l’attore Mauro Monni, il sottosegretario all’istruzione Gabriele Toccafondi, la vedova del giudice Caponnetto, Elisabetta Caponnetto- si sono alternati veri e propri spettacoli in un susseguirsi di performances di grande qualità: musica, teatro, spettacoli storici con gli sbandieratori, danza e una jam session finale con il maestro Paolo Damiani. Il filo rosso di tutti gli spettacoli è stato l’impegno, la vitalità, la speranza, la voglia di lottare per un Paese migliore, l’educazione e la formazione per costruire cittadini più responsabili e consapevoli. Con la frase, più volte ricordata durante l’iniziativa, proprio del giudice Caponnetto, simbolo della mattinata fiorentina: “la mafia ha più paura della scuola che della giustizia”. La scuola, quella che scolpisce i giovani e li rende persone migliori, l’ha raccontata nel suo breve monologo anche Paolo Hendel, che ha citato Don Lorenzo Milani e Padre Ernesto Balducci. “Ogni parola che non imparate a scuola sarà un calcio nel culo che prenderete domani”, diceva il prete di Barbiana.
E tanti sono stati anche gli applausi per Elisabetta Caponnetto, “nonna Betta”, la quale ha ricordato anche gli aspetti umani della vicenda del marito. “Arrivavano -ha detto durante il collegamento in diretta su Rai Uno la Caponnetto- molte minacce, perfino una corona da morto trovammo appoggiata al cancello del giardino. Poi ci misero la scorta e vivevamo in una casa transennata coi carabinieri in cima alla via. Questa è stata la mia vita”. Poi l’impegno civile e nelle scuole: “Quando tornò da Palermo a Firenze dopo la morte di Borsellino, aveva giurato che sarebbe andato a parlare con le scuole di Falcone, Borsellino e iniziò la sua opera. Ai ragazzi diceva sempre: lasciate aperto l’oblò della speranza anche quando l’oceano è cattivo e il cielo si è dimenticato di essere azzurro”.
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